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Terremoto in Emilia, il made in Italy prova a ripartire

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31/05/2012

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Terremoto in Emilia, il made in Italy prova a ripartire

Industria alimentare, quella  della ceramica,  meccanica, biomedicale: il sisma  del 26 e del 29 maggio  ha colpito anche le eccellenze del made in Italy. Mentre si fa una prima conta dei danni, si prova già a ripartire. La situazione è descritta molto bene da Gianluca Ferraris, in un articolo su Panorama.it  all’indomani della scossa del 29 partendo dalla considerazione che secondo il Monitor Distretti di Intesa Sanpaolo, lo studio più aggiornato in materia pubblicato poche settimane fa, nell’ultimo trimestre tutte le aree interessate dalle due scosse  avevano rialzato la testa, con un incremento dei fatturati del 3,1% a fronte di uno 0,5% messo in mostra dal territorio di riferimento.

 

“Chiese, case, monumenti. Ma a rischiare di essere rasa al suolo dal terremoto che ieri ha sconvolto l’Emilia – ha scritto –  è, soprattutto, l’economia. E non stiamo parlando soltanto dell’industria locale, ma di un segmento consistente del made in Italy. Per ironia della sorte, proprio il segmento che anche in questo difficile triennio di crisi economica continuava a mostrare segni di vitalità e a mettere in fila investimenti, innovazione ed export. Quella colpita dal primo sisma di domenica 27 e da quello, più intenso, di martedì 29 maggio è infatti una delle zone italiane a più alta concentrazione di aziende vere e di reddito da impresa. Qualche numero? Una partita Iva ogni 11 abitanti (dato secondo solo a quello del triangolo Treviso-Vicenza-Padova che ne totalizza una ogni 9,7), un Pil pro capite del 18% superiore alla media nazionale e, soprattutto, un tessuto manifatturiero di qualità, leader in tutto il mondo”. 

Ferraris fotografa così la situazione: “A cavallo tra le province di Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Bologna e Parma si trovano cinque distretti industriali tra i più rappresentativi del sistema-Italia: quello di Mirandola, specializzato nelle apparecchiature biomedicali; la Motor Valley che ospita nomi come Ferrari, Lamborghini, Maserati e Ducati; il sistema del packaging industriale, capace di realizzare all’estero il 90% del suo fatturato; la Piastrella Valley di Sassuolo, primo produttore occidentale di ceramiche per l’arredo; la filiera di campi, stalle e industrie casearie che sfornano Grana Padano e Parmigiano Reggiano.

Il tutto per un sistema che, senza contare l’indotto, vale almeno un punto di Pil, in termini di ricavi diretti (17 miliardi di euro), 6.500 aziende grandi e piccole, 260 mila addetti e una quota export media del 65% che fa risalire a questi cinque comparti-chiave oltre un quarto delle esportazioni regionali.”

 Ferraris ricorda che “i dati dicono anche che la performance, salvo alcune nicchie dell’alimentare e della meccanica, era destinata a peggiorare entro fine anno. Ma una prova di stress come quella di questi giorni nessuno l’aveva messa in conto. Prima del terremoto si discuteva delle reti di impresa, delle associazioni di categoria da modernizzare, della manodopera specializzata che ormai si fatica a trovare persino tra gli immigrati, di come fare sistema sui nuovi mercati del Medioriente e dell’America Latina, ora che la Cina rallenta. Oggi l’agenda e le priorità sono drammaticamente cambiate. Mentre il conto dei danni sembra essere solo all’inizio”.

A pagare perdite umane sono state proprio le aziende in picco di produttività, colpite perché al lavoro anche di domenica: ceramiche, imbottiture di alluminio, strutture plastiche. Sebbene non vi siano state vittime, però, il danno economico maggiore rischia di essere quello provocato dal sisma di ieri agli stabilimenti del distretto mirandolino, che comprende anche i comuni che hanno fatto da epicentro alle scosse: Medolla, Concordia, Cavezzo, San Felice sul Panaro.

I danni materiali alle sole aziende, secondo le prime stime, ammontano a 500 milioni di euro. “Ma quelli più gravi  – sottolinea  l’articolo di Ferraris – riguardano la continuità del business. Investito in pieno, il polo di Mirandola rischia adesso – come già denunciato da sindacati e associazioni di categoria – di non garantire le forniture di prodotti plastici “usa e getta” per uso medico e di apparecchiature per dialisi, cardiochirurgia e trasfusione. Se si considera che da qui, tanto per fare un esempio, arrivano l’80% delle siringhe e delle flebo monouso utilizzate in Europa, si vede bene che il problema rischia di contagiare l’intero sistema sanitario continentale. Con qualche disagio anche per i pazienti.

Meno toccati, ma comunque danneggiati per centinaia di milioni, il packaging e la Motor Valley. Più complicata la situazione a Sassuolo, cuore del distretto ceramico: i danni in città sono stati limitatissimi, ma il sisma ha seriamente compromesso le attività industriali più a nordest, fra Camposanto e Finale Emilia. Aziende leader come Marazzi, Opera, Panaria e Moma hanno dovuto interrompere la produzione: tutti i forni si sono disallineati per le scosse. E visto che non si tratta di forni qualunque, tra riparazione e fermi forzati anche da queste parti i danni ammonteranno a 5-10 milioni per ogni stabilimento. Ma sono solo cifre indicative.

 “Sul fronte caseario – prosegue l’articolo –  é stato il Consorzio Grana Padano a stimare per il complesso del comparto agricolo almeno 250 milioni di euro di danni, mentre ammonta ad altri 100 milioni il conto pagato dal Parmigiano Reggiano. Una valutazione peraltro definita “molto prudenziale” nel comunicato ufficiale congiunto. Per danneggiare la produzione dei due pregiati formaggi, peraltro, non c’è stato bisogno che venissero necessariamente colpiti impianti e magazzini: è bastato che le forme fresche cadessero dalle “scalere” in cui erano alloggiate per rovinarne la stagionatura, obbligando i titolari a mandare il tutto in fusione o in grattugia. Si recupererà così qualcosa, ma non il pregio del formaggio doc. Ad almeno 400 mila forme sta toccando questa sorte. Il danno, se si considera anche l’indotto, alla fine secondo Coldiretti supererà agevolmente il mezzo miliardo di euro”.

 

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