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La Scarzuola, un percorso verso la conoscenza di sé

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10/07/2012

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La Scarzuola, un percorso verso la conoscenza di sé

Un luogo di grande bellezza immerso nel verde e nel mistero. In Umbria, nel comune di Montegabbione (Terni), sorge la Scarzuola, protetta dal verde e nascosta dalle colline umbre agli occhi indiscreti. Chiamata anche Buzzinda, la costruzione architettonica surreale è stata pensata da un fantasioso architetto del ‘900, Tomaso Buzzi. Un’opera difficile da definire, un compendio d’arte dei giardini, un trattato di architettura fantastica nonché un percorso di iniziazione verso la conoscenza della propria anima. Composta da sette teatri e sette rappresentazioni sceniche, è sommersa da segni simbologie di varia natura, tra cui la sezione aurea. Sette sono anche i monumenti rappresentati: Colosseo, Partenone, Pantheon, Arco di Trionfo, Piramide, Torre Campanaria e Tempio di Vesta. Sfrutta i quattro elementi e animali mitologici come Pegaso.

La “cittadella” nasce vicino ad un preesistente convento francescano. La leggenda dice che nel Duecento, San Francesco d’Assisi dormì su quel suolo e costruì una capanna fasci di una pianta palustre, la scarza. Da qui il nome Scarzuola. Nel 1946 la svolta di Tomaso Buzzi: acquistò il terreno per creare la sua “autobiografia in pietra”, il suo percorso verso la conoscenza di sé. Visitarla, conoscerla è come intraprendere un viaggio dal quale si torna diversi, incantati, affascinati, scettici o perplessi ma mai delusi o indifferenti.

A rendere tutto più suggestivo è Marco Solari, impeccabile guida e successore della costruzione di Buzzi, suo zio. Dopo la sua morte, nel 1981, Buzzi lascia, infatti, un’opera incompiuta e sarà proprio il pronipote Marco Solari a continuare, utilizzando i progetti dello zio. Come la realizzazione del progetto di Buzzi può combaciare con l’anima del nipote? A rispondere, è direttamente Marco Solari: «Io qui sto facendo un percorso interiore e sarebbe stupido se non lo facessi dato che la Scarzuola proprio a quello serve. Io vivevo a Milano, ho deciso di trasferirmici per questo motivo. Perciò, l’opera è un incrocio tra le volontà ed i progetti di mio zio e il mio modo di realizzarli».

È stata realizzata volutamente in tufo, materiabile friabile e poroso, con l’intento di ottenere il fascino del non-finito. Questo dona all’opera la quarta dimensione, il tempo. Buzzi è stato evidentemente fedele sostenitore del ruinismo, una corrente artistica secondo la quale le opere venivano lasciate in balia del tempo, diventando delle rovine plasmate dalla natura. Si tratta, quindi, di una composizione in continuo divenire che non si potrà mai definire compiuta. Il “patio dell’infinito” termina con una frase: “Amor vincit omnia”, l’amore vince su tutto. È un messaggio breve ma profondo volto a stimolare l’Io di ciascuno. Tomaso Buzzi ha creato un non-luogo, fuori dal caos metropolitano e dallo stress quotidiano. Nella città ideale sembra quasi che il tempo non passi mai e ci si rende conto di quanto oggi l’introspezione e l’ascolto di se stessi siano diventati ormai una chimera.

(Sara Stefanini)

 

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