Tutti mobilitati per l’eccezione culturale
Eccezione culturale, ultimi atti. Domani, 11 giugno, una delegazione composta dai registi Daniele Luchetti, Lucas Belvaux, Costa Gavras, Cristian Mungiu, Radu Mihaileanu, e dall’attrice Bérénice Bejo incontrerà il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso. Il 14 giugno il Parlamento Europeo si riunirà a Strasburgo per dare alla Commissione dell’Unione Europea direttive sul negoziato per il mercato unico tra Europa e Stati Uniti. Il tutto verrà poi formalizzato dai ministri del commercio estero dei 27 paesi dell’Unione.
A marzo scorso, la Commissione europea ha dato il via libera all’avvio dei negoziati tra UE ed USA includendo tra i vari temi anche l’esclusione dell’eccezione culturale, che tutt’oggi rappresenta l’identità e le specificità che preservano le diverse culture dal rischio di una progressiva convergenza verso un modello culturale unico. L’eccezione ha consentito vent’anni fa la nascita dell’industria di produzione culturale europea di oggi, rappresentando un fattore produttivo significativo per l’incremento del Prodotto Interno. È per questo che tutto il mondo dell’industria culturale si è mobilitato scrivendo una lettera lo scorso 4 giugno al presidente del Consiglio Enrico Letta e stilando una petizione per evitare che il Trattato negozi sulle opere e sui servizi culturali e audiovisivi, in nessuna forma.
Tra i firmatari della lettera anche Rai e Mediaset, Confindustria, le organizzazioni dei lavoratori, i premi Oscar Roberto Benigni, Bernardo Bertolucci, Gabriele Salvatores e Giuseppe Tornatore. All’ultimo Festival di Cannes, l’eccezione culturale europea è stata difesa anche da due americani di rilievo: il produttore Harvey Weinstein, che ha pure firmato la petizione, e il presidente della giuria Steven Spielberg.
“Nei discorsi programmatici di insediamento del Suo Esecutivo –recita la lettera- Lei ha tracciato un segno di forte discontinuità con il passato, individuando proprio nell’industria culturale una grande risorsa e, ancor più, una grande opportunità per lo sviluppo del Paese, sulla quale l’azione del Governo intende puntare. Ci preoccupa quindi quanto contenuto nelle “linee rosse” della Commissione Europea, poiché non evidenziano nulla di tutto questo: né politiche per la diversità culturale, né uno spazio politico per indirizzare l’evoluzione della tecnologia digitale, che non ha nazionalità, regime fiscale, barriere fisiche o adempimenti amministrativi, sono sufficienti. Possono essere dannosi, poiché rischiano di distogliere l’attenzione dalla vera posta in gioco, che è di natura tanto economica quanto culturale.’’
La minaccia economica viene così argomentata nella lettera: “Gli operatori digitali americani oggi non hanno sedi, dipendenti, fatturato, fornitori, impegni, vincoli in Europa. Non investono in reti e contenuti né sui territori. Non creano valore, né valore aggiunto, né gettito fiscale. Non rispettano quindi le differenze, le considerano impedimenti. La liberalizzazione del mercato dei servizi audiovisivi abbatterebbe radicalmente e repentinamente il valore aggiunto generato dalle attuali filiere distributive del prodotto in tutta Europa, con danno per le imprese locali derivante da riduzione degli scambi sul mercato interno europeo, depressione della domanda di prodotto non mainstream e scarsissima capacità di accesso allo scaffale dei prodotti nazionali. (Un ulteriore boccone dato in pasto alla crisi, dunque. N.d.r.) Noi vorremmo –conclude la lettera- che la Commissione negoziasse il futuro anche per noi. Per il nostro settore, per l’Italia e per l’Europa. Quindi noi semplicemente non vogliamo che in questo Trattato si negozi sulle opere e sui servizi culturali e audiovisivi, in nessuna forma, a partire dalle reti di distribuzione on line. Si tratta di una questione culturale ed economica: Confindustria stessa condivide questa nostra posizione e l’ha fatta propria.”
“Noi vorremmo –conclude la lettera- che la Commissione negoziasse il futuro anche per noi. Per il nostro settore, per l’Italia e per l’Europa. Quindi noi semplicemente non vogliamo che in questo Trattato si negozi sulle opere e sui servizi culturali e audiovisivi, in nessuna forma, a partire dalle reti di distribuzione on line. Si tratta di una questione culturale ed economica: Confindustria stessa condivide questa nostra posizione e l’ha fatta propria’’.
Ogni stato del Vecchio Continente è particolarmente ancorato alla propria storia che ha dato vita alle culture, le stesse che non vogliono sfociare nella dizione ‘’cultura di massa’’ e non essere più un valore aggiunto economico e sociale. Tagliare fuori l’identità dai paesi europei significa eliminare una differenza caratterizzante e numerosi posti di lavoro.
Giulia Coia
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