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Luoghi d’arte sacri da tutelare: un “manuale” del Tpc

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16/01/2015

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Luoghi d’arte sacri da tutelare: un “manuale” del Tpc

cellara altareIl Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (Tpc), in collaborazione con il competente ufficio della Conferenza episcopale italiana (Cei), alla fine dello scorso anno ha pubblicato un prezioso “manuale” su come orientarsi nella tutela dei beni culturali della Chiesa. Un manuale ricco di consigli e accorgimenti pratici non solo per chi detiene questi tesori, ma anche per  chi li deve conservare e restaurare.

La fonte di questi consigli è più che attendibile: il Comando dei carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (Tpc) è il primo reparto al mondo specializzato in questa materia. Fu istituito  nel 1969, cioè un anno prima che l’Unesco, con la convenzione di Parigi, raccomandasse agli Stati membri dell’Unione europea di munirsi di un servizio di tutela.

Il reparto, che si avvale dei Nuclei dislocati sul territorio, da anni ricerca il quadro della Natività di Caravaggio rubato a Palermo, il Bambinello dell’Ara Coeli caro ai romani sparito nel 1994, mentre da poco è stato rinvenuto il “Bambino malato” opera in bronzo di Medardo Rosso conservato alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.

Grazie alla sensibilità dei Carabinieri deputati alla vigilanza dei beni che riguardano le arti, viene così messo a disposizione del pubblico una sorta di memorandum che ovviamente non è guida turistica, ma è utile come chiave per conoscere le peculiarità dei luoghi di culto e dei beni che in essi figurano, da mettere in sicurezza perché “tra i più depredati al mondo”, ebbe a dire il generale Mariano Mossa che comanda il reparto in una intervista concessa due anni or sono alla rivista di cultura Europa 2000.

Il manuale contiene dunque una serie di informazioni di carattere pratico, o meglio, le linee guida per quanti oggi hanno la responsabilità di importanti interventi su chiese, conventi, abbazie e altri luoghi sacri.

Purtroppo il manuale è arrivato tardi per quanti si sono occupati della chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo a Cellara, piccolo borgo cosentino. Ed oggi questo luogo, nel quale  è stato stipulato il primo atto costitutivo dell’ Arciconfraternita del SS.Sacramento e di Santa Maria della Stella, è stato trasformato, con modifiche  che molti non esitano a definire insensate. Interventi pesanti e da più parti ritenuti appunto approssimativi, condotti in modo improvvido, con superficialità. Insomma chi ne aveva responsabilità non ha reso un buon servizio a questa chiesa dove in primo luogo bisognava preservare l’antico culto nei suoi aspetti religiosi e culturali, visto che oggetti che hanno attinenza con l’esercizio del culto e la devozione dei fedeli sono per lo più beni di gran valore da tramandare integri secondo la celebre affermazione di Theodore Roosevelt per cui “una nazione agisce correttamente se tratta le sue risorse come un patrimonio da tramandare alle future generazioni dopo averne accresciuto e non diminuito il valore”.

Ebbene, con l’apertura al pubblico della Parrocchiale il 14 dicembre scorso, non sono mancati i commenti  negativi di visitatori sorpresi dal rimaneggiamento a cui è stato sottoposto un luogo sacro così carico di significati e così radicato nella tradizione, eretto a simbolo della comunità, degno di tutela. Interventi così pesanti da far smarrire la memoria e offuscare quanto è proprio del culto dei santi qui venerati da secoli, dall’apostolo Pietro alla Vergine Immacolata, contitolari del tempio, le cui statue lignee molto antiche sono adesso esiliate entro angusti spazi insieme ad altre immagini sacre di non secondaria importanza , tanto care al popolo, degne di nota poiché richiamano l’origine della devozione.

Impietosamente tolte dal loro posto di onore sopra l’altare di centro “dedicato” (dal latino ‘dicatum‘ secondo i testi liturgici) ora addirittura manomesso per il subito asporto delle nicchie di legno dipinto, risalenti ad anni lontani.

C’è da chiederne conto alla curia vescovile e alla soprintendenza di Cosenza, dopo i lavori di consolidamento e restauro per i quali nel 2002 – su mio interessamento – il ministero dei Beni culturali stanziò la ragguardevole somma di 309mila euro, da ripartire nel triennio 2003-2005.

Di lì l’avvio di un percorso tutt’altro che facile, reso problematico dai tempi della burocrazia e da metodi non consoni alla specifica missione, liturgicamente discutibili. Direttamente coinvolti a vario titolo enti religiosi, laici, istituzionali, un apparato del tutto formale, che risulta lontano, distaccato, forse ignaro dei conseguenziali effetti incidenti sulla storia e la vita di questa vetusta chiesa, ma più ancora in balia di una cultura del fare piuttosto che del sapere, dove per lasciare spazio all’esuberanza creativa si preferisce non sapere.

Per i restauri appena ultimati nella chiesa di Cellara serviva da parte di tutti un effettivo dialogo, più conoscenza e comprensione, sensibilità estetica e pastorale. Bisognava rigenerare l’oggetto” senza alterarlo o snaturarne le finalità”, come dice il generale Roberto Conforti, già comandante dei carabinieri per la Tutela culturale, attualmente presidente della Società italiana per la protezione dei beni culturali.

Pare di capire che sia mancata da più parti la volontà di adottare criteri conservativi sicuramente indispensabili per la sopravvivenza degli spazi destinati al culto se vale ancora la tesi che le opere di consolidamento “non prevedono lo spostamento di oggetti d’arte o della memoria ma la loro ricollocazione, dopo l’intervento, nella primaria sede,” e non come avvenuto per le statue dell’Immacolata e di San Pietro. Trapela dall’impatto visivo una linea di rottura con la storia, attraverso un ripristino che in realtà non ha tenuto in considerazione le caratteristiche del tempio, luogo simbolo, né mantenuto la naturale continuità per la realizzazione di alcuni interventi dai forti contrasti, dando così l’immagine di un ambiente trasformato dove la memoria e il nuovo si attraggono e si respingono in un’atmosfera ambigua.

La struttura, nella reinterpretazione attuale, è priva nell’abside dell’altare di marmo bianco pregiato che il parroco Pedretti (morì nel 1979) volle per la celebrazione al cospetto del popolo (spectante populo), ora demolito e del quale non v’è traccia. Un gesto irrispettoso, che dice pure quanto non fossero comprese peculiarità e funzioni del marmo  ritenuto in dall’antichità  il più degno dei materiali utilizzato per arredare con sobrietà luoghi di culto e di preghiera, trovando nella liturgia romana l’espressione più avvolgente.

Purtroppo la preparazione del clero sulle sue responsabilità nel settore dell’arte sacra pare essere stata assai debole e approssimativa, quando non del tutto assente, come rileva una recente indagine condotta nelle chiese locali. Concorre a questa  “estraneità”  una scarsa conoscenza di numerosi e autorevoli testi di liturgia e devozione, di arte e letteratura, di scritti importanti della storia ecclesiale riguardanti appunto la complessa materia dei beni religiosi, pubblicati negli anni e a tutt’oggi non del tutto recepiti, ma che tutti insieme hanno comunque contribuito a far evolvere le arti nelle nostre chiese. Viene da pensare al Motu proprio con cui Giovanni Paolo II,  nel 1993, istituiva la “Pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa”  intesi come strumento di evangelizzazione e di promozione umana, ordinati al culto e alla carità: “la fede infatti tende per sua natura ad esprimersi in forme artistiche e in testimonianze storiche di fronte alle quali la Chiesa è chiamata a prestare la massima attenzione”,  scriveva Papa Wojtyla.

Viene anche da pensare  all’Intesa del 13 settembre 1996 tra Stato e Chiesa relativa alla tutela dei beni di interesse religioso, che pure hanno attinenza con il culto. E non si possono infine dimenticare le raccomandazioni del Vaticano II a che i sacerdoti fossero formati nelle arti: “I chierici, durante il corso filosofico e teologico siano istruiti anche sulla storia e lo sviluppo dell’arte sacra, come pure sui sani principi sui quali devono fondarsi le opere dell’arte sacra, in modo che stimino e corservino i venerabili monumenti della Chiesa e possano offrire opportuni consigli agli artisti nella realizzazione delle opere.”

Giacomo Cesario

 

 

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