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L’Europa conferma l’eccezione culturale, vince la Francia

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18/06/2013

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L’Europa conferma l’eccezione culturale, vince la Francia

Venerdì 14 giugno a Lussemburgo, dopo tredici ore consecutive di negoziati, i Ministri europei del Commercio hanno definito le aree del mandato alla Commissione per le trattative commerciali transatlantiche. Il voto richiedeva l’unanimità dei 27 Paesi Ue e per ottenerlo è stato necessario, come chiedeva la Francia, escludere completamente il settore audiovisivo dai negoziati (Leggi Articolo Key4biz).  La Francia, infatti, era decisa ad andare fino in fondo e a far mancare la necessaria unanimità.

L’Europa quindi resta per il momento libera di definire quote e sovvenzioni per cinema, televisione, musica e radio. La Commissione Ue potrà successivamente chiedere nuovamente di discutere di audiovisivo, ma avrà sempre bisogno di ottenere l’unanimità degli Stati membri. (sulla riunione a Lussemburgo leggi il documentato articolo di Maria Laura Franciosi sull’Indro).

Per i registi e gli autori europei e una “vittoria fondamentale contro la mercificazione della cultura”, ma per il Commissario Ue al Commercio, Karel De Gucht, che condurrà i negoziati con Washington, la strada ora è in salita: sperava di includere anche l’audiovisivo nel mandato per non dare alcun pretesto agli Stati Uniti di rifiutare ancora una volta l’accesso ad alcuni mercati finora chiusi alle aziende europee.

La decisione di mantenere la cultura fuori dai trattati significa non solo la possibilità teorica di introdurre limiti all’importazione di prodotti audiovisivi americani, ma soprattutto quella di mantenere in vita le tante misure a sostegno del settore che quasi ogni Paese europeo stanzia regolarmente, ovviamente con l’impiego di fondi pubblici,  a favore delle produzioni nazionali ed europee, senza contare i programmi sostenuti dalla stessa UE, come MEDIA, o le quote di programmazione e investimento imposte ai broadcaster.

Il mantenimento dell’eccezione culturale, una posizione condivisa dal Parlamento europeo – con una risoluzione, approvata in plenaria a maggio – tuttavia ha lasciato qualche malumore tra gli organi comunitari: il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, in un’intervista all’Herald Tribune – poi affievolita nei toni – si è scagliato contro la posizione degli “excepionists” come la Francia, definita come antiglobalizzazione e reazionaria.  Una posizione anticipata dall’ex premier spagnolo  José Maria Aznar secondo il quale “L’eccezione culturale è il rifugio delle culture in declino”.

Variety ha descritto la decisione dei Ministri UE come una non-sconfitta ma anche una non-vittoria per Hollywood, che secondo il magazine senza l’eccezione culturale potrebbe aumentare la quota di mercato del prodotto USA, attualmente dell’80-90% in aree come l’America Latina, ma sotto al 50% in Francia e intorno al 60-75% nell’Europa occidentale. Non sono mancate tuttavia voci statunitensi a favore dell’esclusione della cultura dalle negoziazioni USA-Europa sul libero scambio. Per Steven Spielberg per esempio, l’eccezione culturale “incoraggia i registi a fare film sulla propria cultura. E fa anche bene al business”.  “La cosa più importante è preservare lo spazio dei film culturali, perché fa bene a tutto il mercato”, ha detto il distributore Harvey Weinstein, in un evento organizzato dal ministro francese della Cultura, Aurelie Filippetti.

Il Governo italiano – come spesso accade – ha avuto una posizione ondivaga, con due linee distinte: quella del ministero per lo Sviluppo economico e quella del ministro per la Cultura. “L’Italia sarebbe il primo beneficiario in Europa, in termini di aumento delle esportazioni, in caso di positiva conclusione” dell’accordo commerciale tra Ue e Usa, aveva detto, a margine del Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Ue, a Lussemburgo, il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, convinto che il mandato tutelasse “adeguatamente l’industria e la diversità culturale”.

Un appello rilanciato, alla vigilia del Consiglio Affari esteri, dal capogruppo del Pd al Parlamento europeo David Sassoli e dall’eurodeputata Silvia Costa, membro della commissione Cultura del Pe, nei confronti dei ministri degli Esteri e dello Sviluppo economico Emma Bonino e Flavio Zanonato.

Solo qualche giorno fa, a margine della cerimonia dei David di Donatello, il ministro Bray aveva ribadito le sue idee s favore dell’eccezione culturale: “La mia posizione l’ho chiarita anche a Bruxelles – ed è che la cultura è una peculiarità. E che il governo deve fare di tutto per considerarla come tale”. Con ciò appoggiando di fatto la posizione di registi  come Roberto Benigni,  Bernando Bertolucci, Giuseppe Tornatore e Gabriele Salvatores e di associazioni, sindacati, attori, Rai, Mediaset e Confindustria, che avevano scritto al premier Enrico Letta proprio per chiedere la tutela dell’eccezione culturale.

Un contrasto percepibile anche tra gli intellettuali e sui media. Domenica 16 giugno il Corriere della Sera aveva dedicato un’intera pagina (pag. 17) al dibattito in corso raccogliendo pareri pro e contro. Tra i “pro” quello di Massimo Nava “”non solo Superman e 007. L’eccezione culturale serve a rendere il mondo meno piatto”; tra i contro quello di Pierluigi Battista (“La sindrome del panda: i film che valgono stanno sul mercato anche senza sovvenzioni”). A questo punto non resta che vedere che cosa faranno  gli Stati Uniti, ma il principio dell’eccezione culturale è ancora una volta salvo.

Giorgio Marota

Fonti: Key4Biz, Variety, Il Giornale dello Spettacolo, EurActiv, CineGuru.biz.

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