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Il Corriere della Sera ci prova con “Il Bello dell’Italia”

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12/12/2015

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Il  Corriere della Sera ci prova con “Il Bello dell’Italia”

Approfittando della nuova iniziativa editoriale e del canale web del Corriere della Sera dedicati a “Il Bello dell’Italia”, noi della Voce della Bellezza abbiamo deciso di lanciare questa nuova rubrica per dar risalto al lavoro che già da anni svolgiamo e integrarlo con le nuove influenze che animano il dibattito nazionale.

L’indirizzo del portale del Corriere: http://www.corriere.it/bello-italia/

Noi cercheremo, nel nostro piccolo di realizzare un luogo di dibattito dove, chissà, potrebbero nascere iniziative comuni. La Bellezza è una cosa seria“. Così Alessandro Cannavò conclude il suo articolo di introduzione al nuovo progetto del Corriere della Sera “Il Bello dell’Italia”.

Una dichiarazione programmatica importante, foriera di responsabilità che gli attori di quest’iniziativa editoriale non sembrano affatto sottovalutare. “La bellezza, infatti, ci può salvare a condizione che non la pensiamo semplicemente come qualche cosa a nostra disposizione“, aggiunge in apertura il sociologo Mauro Magatti, sottolineando che l’idea stessa di una concezione estetica come pilastro di una comunità sia tanto delicata quanto, ora più che mai, possibile. Bellezza come rinascita, dunque, e come antidoto al malaffare e all’indolenza diffusi nella nostra società ora che sembra – e i dati lo confermano – che il periodo più nero della crisi economica stia passando. Bellezza come dato reale: quel 16,5% del Pil, ovvero 240 miliardi di euro, generato dal made in Italy di qualità, dal turismo, dall’industria creativa e dalla somma delle attività culturali e di formazione. Frutto spesso di tradizioni secolari snobbate in passato e recuperate da caparbi e visionari artigiani e imprenditori convinti del fatto che l’unicità potesse sconfiggere la concorrenza nel mondo globalizzato. Generata nel più semplice dei modi con impegno e duro lavoro da generazioni di italiani prima che il mondo si accorgesse che il mondo della creatività fosse un business così redditizio. E, soprattutto, vissuta sul suolo pavimentato delle città e nelle espressioni singolari della natura che quotidianamente attraversiamo, che in parte hanno contribuito a formarci ponendoci dinanzi agli occhi un termine di paragone così arduo da onorare.

Non solo, quindi, il tanto osannato patrimonio artistico-architettonico né soltanto la varietà dei paesaggi e il clima ma le tradizioni, la Storia e l’eredità di un passato che contribuisce, nonostante tutto, a conservare all’estero un’idea dell’Italia duplice, schizofrenica a tratti, di meraviglia estetica e infima etica, di lusso e decadenza, come ha ben rappresentato Sorrentino nella sua “Grande Bellezza”. E a gravare all’interno i cittadini, o meglio gli abitanti dello Stato italiano, di una zavorra, come la definisce Severgnini: “[una zavorra che, ndr] intimidisce e consola, ripete e rassicura, impigrisce e rallenta”. Un peso che spesso diventa retorica nei proclami dei politici o alibi nella mancanza di senso civico degli elettori, ma che, malgrado tutto, è lì: monolitico, imponente, eterno (forse?) come i monumenti che sorgono dai centri città e dai borghi millenari. E che in Roma, capitale per vocazione prima che luogo istituzionale, trova la sua summa: exemplum e capro espiatorio di una nazione unica.

Senza retorica alcuna, senza sciovinismo e senza nostalgia, accogliamo questo risveglio dell’intellighenzia italiana rispetto ai propri doveri verso la Bellezza: agli oneri che un’eredità come la nostra comporta. Convinti che i crolli di Pompei sono specchio, più che metafora, di un Paese perennemente in bilico tra disinteresse ed esaltazione.

Sabato Angieri

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