I Taviani vincono anche il David di Donatello: “Quando il dolore incontra la bellezza dell’arte”
Dopo il trionfo alla Berlinale, il film “Cesare deve morire”, girato con i detenuti di Rebibbia, fa incetta di premi negli Oscar di casa nostra
I fratelli Paolo e Vittorio Taviani vincono il David di Donatello 2012 con il film Cesare deve morire e dedicano ai detenuti di Rebibbia, dove il film è stato girato, il loro successo. E Vittorio, nell’incontro con i giornalisti, si commuove e dice: «Questo film nasce dal grande dolore di persone che hanno delle colpe e stanno pagando. E stanno cambiando. Il film va incontro a quel dolore e diventa la bellezza dell’arte». Dalla sala s’alza un grande applauso, che va ai Taviani, ma anche alla bellezza di quest’arte che è la cinematografia. Un applauso che unisce tutti, anche gli sconfitti di questa edizione, tutti in prima fila: Moretti, Crialese, Ozpetek, Giordana.
Reduce dalla premiazione con l’Orso d’oro al Festival di Berlino, “Cesare deve moiree” incassa cinque statuette – miglior film, regia, produttore, montaggio, fonico di presa diretta – e premia indirettamente l’attività teatrale all’interno del carcere di Rebibbia, e che ha visto tra i protagonisti detenuti ed ex detenuti. “Dedichiamo la serata ai nostri attori, alcuni dei quali sono ancora in galera”, hanno dichiarano dopo la sfilata sul red carpet. Tra i loro attori, resta scolpita la frase pronunciata da Cassio, interpretato da Cosimo Rega:: «Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione».
“Cesare deve morire” è stato infatti girato interamente tra le mura del carcere romano di Rebibbia e con i detenuti del reparto Alta Sicurezza e racconta la loro messa in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare.
Un bel film, quello dei fratelli Taviani, che tra i tanti meriti – come è stato scritto da più parti – ha quello, non piccolo, di aver acceso una luce, un faro a luce calda, dietro le sbarre di una prigione, luogo di rimozione per l’intera società dove essere “persona” assume un altro significato. Per i detenuti questo film è stato un’occasione importante, un incontro “forte” con la cultura. «Se volete che le cose cambino, regalate libri agli istituti penitenziari», hanno detto a proposito dell’emergenza carceraria alcuni degli interpreti del film che hanno terminato di scontare la loro pena e sono rimasti, come attori, nel triangolo tra cinema, arte e teatro.
(Gabriele Aluigi)
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