Duomo di Forlì, il modo sbagliato di proteggere la bellezza
Si narra che Giuseppe Marotta, gelosissimo, chiudesse a chiave dentro casa la sua legittima consorte e infilasse tra i due battenti un capello che, al ritorno, doveva ritrovare al suo posto. Il burqa, in una foggia o in un’altra, come si vede non è costume soltanto afgano. Nasconderci dentro la controfigura di Tina Pica, è comprensibile. Ma come si fa a farlo indossare a una sosia di Marilyn Monroe? La bellezza va messa bene in vista, non sotto chiave.
Di questa opinione, purtroppo, non è il parroco del Duomo di Forlì, anche se ha le sue buone ragioni. Per far rispettare ai visitatori, più che ai fedeli, il settimo comandamento (“non rubare” ricordiamo a chi ha dimenticato il catechismo) ha pensato bene di togliere dalla portata dei malintenzionati gli arredi sacri che abbellivano il sacro edificio. E così candelieri, candelabri e altri preziosi manufatti sono finiti in cassaforte, lasciando piuttosto spoglia la cattedrale.
Figuriamoci se la gente stava zitta! Anche chi non entrava in chiesa da decenni si è messo a protestare per l’oltraggio che la decisione del prete ha fatto alla chiesa, all’arte, alla città. Come si fa a dare torto a chi dice che il patrimonio artistico del Duomo deve stare dove la storia lo ha collocato? Già, ma se lo rubano il loro posto rimane ugualmente vuoto.
Il problema è che le forze dell’ordine sono ridotte all’osso e con tanti reati da perseguire. A prevenirli dovrebbero pensarci i vigilanti privati, che però costano troppo per le casse parrocchiali: la crisi economica si fa sentire anche sulle feritoie delle cassette dell’elemosina.
Qualcuno ha proposto la soluzione giusta, la soluzione possibile: turni di vigilanza di parrocchiani volontari. Bene. Chi vuole conservare candelabri e oggetti d’arte sacra, invece di protestare si metta di guardia, armato di coraggio e di telefonino per chiamare i carabinieri. Dovrebbero farlo tutti gli italiani, se ricordassero d’essere un popolo civile. Diventerebbero anche un popolo più ricco, visto che il patrimonio artistico gli appartiene. (Bruno Cossàr)
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