Cangiari: il riscatto dalla ‘ndrangheta nelle trame di un telaio
Torna il rumore antico dei telai in legno nelle strade di Gioiosa Ionica, di Bivongi, nei vicoli di Gerace e nei borghi della locride, tristemente conosciuti solo per fatti legati alla criminalità organizzata. Torna per dare lavoro alle donne calabresi e ricordare che, questa terra soffocata dalla ‘ndrangheta, ha urgente bisogno di cambiare. E Cangiari, cambiare in dialetto calabrese, è proprio il nome scelto dal Consorzio Goel per un marchio di moda nato nel profondo sud e approdato nelle vetrine milanesi grazie all’apertura, in un bene confiscato alla ‘ndrangheta , di un piccolo showroom di appena 50 metri quadri.
Le creazioni si realizzano però in Calabria mentre, lo showroom non è solo uno spazio di vendita, ma anche un luogo di sensibilizzazione sui temi della giustizia sociale e della sostenibilità ambientale. “E’- come sottolineano dal Goel – insomma il nostro riscatto dallo strapotere della criminalità organizzata”.
L’opportunità di sviluppo offerta dal riutilizzo ai fini sociali degli immobili, resa possibile solo grazie alla legge 7 marzo 1996 n.109, permette alle piccole realtà come “SpazioCangiari” di affermarsi sul territorio nazionale e lanciare iniziative imprenditoriali innovative. Di fatto, proprio a Milano, nella capitale della moda, in viale Monte Santo numero 10, si realizza il “Goel pensiero”: non solo l’altissima qualità dei prodotti, ma anche la scelta di puntare su una “comunità produttiva calabrese”.
In un territorio dove secondo i dati Istat 2011 una giovane donna su due è disoccupata, Cangiari ha un centinaio di dipendenti e, tutta la filiera di produzione è composta da cooperative sociali che hanno sede nel territorio e favoriscono il reinserimento nella società di persone con difficoltà (portatori di handicap, disoccupati, migranti, ex detenuti ed ex tossicodipendenti).
“L’imprenditoria per noi è uno strumento non il fine – dice il presidente del Consorzio Goel Vincenzo Linarello durante l’inaugurazione dello showroom- il nostro fine non è quello di massimizzare il profitto, non è quello di aumentare il fatturato, però li usiamo per asservirli a degli scopi chiari di cambiamento sociale”. Impegnato su vari fronti, dal turismo all’agroalimentare, dalla santità all’artigianato, il consorzio Goel, nato nel 2003 su impulso dell’allora vescovo di Locri monsignor Giancarlo Bregantini, con Cangiari realizza il sogno di molte giovani calabresi: quello di poter lavorare nel proprio territorio. Ma i primi riconoscimenti arrivano solo grazie al patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana, della Camera di Commercio di Reggio Calabria, del Comune di Milano e al tutoraggio di Santo Versace che, da calabrese, sposa in pieno la causa. “Cangiari – dice Versace – è un progetto coraggioso nato da un gruppo di donne e giovani che hanno come missione il cambiamento della Calabria. Ho accompagnato personalmente questa iniziativa e continuerò a sostenerla”.
Il gruppo di donne coraggiose fa capo a due cooperative: una specializzata nella lavorazione al telaio, l’altra nel confezionamento tessile. Con la riduzione di commesse provenienti da marchi come Benetton e Stefanel, che sposano la produzione nell’Est Europa, le coop vivono un momento delicato e decidono di investire su un nuovo progetto. “Negli ultimi dieci anni – spiegano da Cangiari – cinque tessitrici di Aracne armate di registratore hanno raccolto le nenie e le cantilene delle vecchie e analfabete magistre dei borghi, le uniche in grado di programmare il telaio”. Un’operazione che dura 5 giorni e determina il disegno del tessuto. “A Gerace si è compiuto un sorta di miracolo: abbiamo ricostruito un mini opificio con sei telai sul modello calabrese del 1920”.
Due le linee sartoriali realizzate da Marina Spadafora, già stilista per Prada e Ferragamo, una per tutti i giorni l’altra extra lusso. “Su cotone e seta applichiamo inserti, ricami e decorazioni dalle reminiscenze greche, bizantine, normanne e spagnole per creare dei pezzi unici e inimitabili”. Tra i punti di forza anche l’attenzione per materiali ecocompatibili, tessuti naturali e biologici, riciclabili e biodegradabili, come la seta vegan prodotta senza l’uccisione del baco.
“Ogni capo – conclude Linarello – sarà un messaggio chiuso dentro una bottiglia: un messaggio di legalità sotto lo slogan “Beauty is different”, la bellezza è un’altra cosa. Altra rispetto ai canoni attuali, estetici e morali perché, la moda può essere anche etica e sociale”.
Dominella Trunfio
(Questo articolo partecipa al Premio “La Voce della Bellezza, sezione Scuole di Giornalismo)
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