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La “sicilitudine” nel venerdì Santo di Leonforte

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16/04/2017

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La  “sicilitudine” nel venerdì Santo di Leonforte

Scriveva Leonardo Sciascia in un suo libro dal titolo emblematico La corda pazza .Scrittori e cose della Sicilia: “Che cos’ è una festa religiosa in Sicilia? Sarebbe facile rispondere che è tutto, tranne che una festa religiosa. E’, innanzi tutto, un’esplosione esistenziale; l’esplosione dell’es collettivo, dove la collettività esiste soltanto a livello dell’es. Poiché e soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo, che è poi la condizione del suo vigile e doloroso super io, per ritrovarsi parte di un ceto, di una classe, di una città”.

Con questa idea di festa religiosa ci dirigiamo in macchina Leonforte (EN), in un’assolata e tersa giornata primaverile, per partecipare ai festeggiamenti del Venerdì Santo. La lunga processione comincia all’imbrunire, quando i simulacri del Cristo deposto e dell’Addolorata, seguiti da un fiume di folla e dalla banda musicale cittadina, si snodano per le vie cittadine, portati a spalla dai fedeli delle varie confraternite.

Un percorso lungo, spesso accidentato, che tocca tutte le tredici chiese di Leonforte, tredici quante sono le stazioni della Via Crucis. Un percorso che prevede anche l’accensione di un enorme falò, poco prima  del passaggio dei simulacri, in piazza Parano dalla quale, tramite una scalinata in salita, si giunge alla Chiesa dei Cappuccini che ospita nell’altare maggiore lo stupendo trittico dell’Assunzione della Vergine del pittore monrealese Pietro Novelli (vedi foto).

Altre chiese ancora e poi una lunga sosta ristoratrice prima di affrontare la faticosa salita di Via Santa Croce e giungere all’omonima chiesa. Una salita, non certamente agevole, che per i leonfortesi rappresenta il Calvario. In tarda notte, la processione, certamente più lenta nell’andatura , discende fino alla chiesa Madre. Qui il Cristo è adagiato ai piedi della croce, ancora collocata al centro del presbiterio, per essere visitato fino a mezzogiorno de Sabato Santo. Una processione lunga e faticosa nella quale il fedele trova un lenimento dal lento e mesto motivo di marcia funebre dalla banda musicale e dai “Lamenti “ che in coro sono intonati dai fedeli delle varie confraternite. “O cchi gghiurnata di suspiri e bbuci quannu li chiova di Gesù Cristu scipparu: ccu li carnuzzi sò umili e dduci supra un truncu di cruci ripusaru”.

Questo uno dei  versi  dei  “Lamenti” , direttamente fornitomi  dalla dottoressa  Gabriella Grasso di Leonforte, cultrice attenta  delle tradizioni cittadine. Un canto a cappella, monocorde, ipnotico, incomprensibile. Un tempo erano gli anziani addossati ai muri del paese che lo  cantavano, con la coppola sul petto e lo sguardo ieratico, oggi un gruppo di valorosi giovani li affianca per proseguirne la memoria nella prossemica e nelle parole.

Lasciamo Leonforte, il Sabato Santo,  con in mente la profondità di lettura dello scrittore di Racalmuto dell’animo siciliano , o  meglio,  di quello che egli stesso chiamava la “sicilitudine”.

Bartolomeo Buscema

(foto dello stesso autore)

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