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Amatrice, forme e immagini del territorio

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13/03/2016

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Amatrice, forme e immagini del territorio

amatriceAmmirare le sculture fittili di Silvestro dall’Aquila o l’arte orafa di Pietro Vannini, la creatività di Pietro Paolo da Fermo o di Saturnino Gatti. Da adesso tutto ciò è nuovamente  possibile. Con nuova consapevolezza storica e critica. Grazie al volume appena pubblicato da Electa e curato da Rossana Torlontano e Anna Imponente con contributi d’una scelta di studiosi specialisti:  Amatrice. Forme e immagini del territorio. I tesori d’arte di Amatrice e dintorni sono svelati, tornano ad esser nostri, in senso sincronico e diacronico. L’apparato fotografico di Giovanni Lattanzi è d’impatto visivo per chi voglia pregustare, tra le circa 170 pagine d’ottima fattura, i capolavori che andrà a visitare. Si potrebbe iniziare dalla Chiesa di San Francesco, dove emerge l’affresco La Madonna con la Città di Amatrice , già d’eloquente e assoluta rappresentatività  idiomatica  della cittadina di 2400 abitanti, sorta lungo la Salaria, tra Lazio Umbria Abruzzo e Marche, alle sorgenti del fiume Tronto. Centro nevralgico in cui s’incontrarono poetiche e stili di Firenze,  Roma, Milano, Assisi e Perugia. Attraversando la storia del territorio si trovano esemplari di pittura tra Trecento e Quattrocento, come indicano i cicli affrescati in San Francesco e Sant’Emidio, ma anche le opere Pierpalma da Fermo nella chiesa della Filetta di Amatrice, sede del Cameo, oggetto simbolo e di culto. O ci si imbatte nelle opere di Cola dell’Amatrice, pittore molto legato alla città natale.

amatrice“Poscia dalla Valle Castellana, camminando però per essa, si arriva al nobil castello Amatrice, posto sotto la fontana del Tronto, sopra del cui corso sono altissimi monti …le cui cime sono troppo grosse per essere disegnate e descritte”. Questa l’epitome del  ricco volume che c’accompagna ad Amatrice lungo la sua  storia visiva. Fino al Rinascimento con Dionisio Cappelli e il Maestro della Madonna della Misericordia.

Insieme ai capolavori d’arte il volume racconta l’etnografia, storie aneddoti e folclore d’una popolazione cresciuta alle pendici del Gran Sasso, che conosce bene terremoti e alluvioni, ma che è sempre rinata dalle ceneri come araba fenice.

Ecco che, tra persistenze e aggiornamenti, gli episodi del Cinquecento attestano Amatrice come crocevia di linguaggi. Non manca il fasto d’Età Barocca, che ridisegnò secondo il suo sentire gli spazi artistici del luogo. “Piazze spaziose, alcuni bei palazzi e chiese gli danno aspetto di città. Tra queste è notevole la chiesa romanica di San Francesco, con bel portale ogivale e grande rosa, l’interno ad una navata, abside poligonale deturpato da aggiunte di altari barocchi”.

A nutrire il rigoglio d’arte lascia sovente traccia di sé la pratica del mecenatismo, sia da parte del clero che del potere nobiliare. Come attesta, in architettura, lo Stemma Orsini Vitelli Varoni nella chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mondo ecclesiastico considera la cultura mezzo di ricerca e conquista d’un più ampio spazio per arrivare alla divina Rivelazione. L’ignoranza è più contraria alla salute dell’anima che tutte le altre cose del mondo. Perché chiude lo spirito in una grossolanità di terra e riduce l’uomo all’abiezione” (don Giovanni Minozzi,1934).

Il ruolo determinante esercitato nei secoli dalla committenza ecclesiastica per assicurare continuità d’arte e fede attraverso edificazioni di nuovi monumenti trova ancora ad Amatrice testimonianze del tutto peculiari, a partire dal secondo decennio del Novecento e l’arte del Novecento. Basti ammirare Via Crucis di Angelo Della Torre nella  chiesa di Santa Maria dell’Assunta. Oppure, di Alessandro Monteleone, la Fontana delle pecore del 1940 presso il  cortile dell’Istituto maschile.

Tra gli altri contributi, notevole è stato l’impegno della Sovrintendenza, come quello della Fondazione Varrone, sia in termini di sostegno economico che intellettuale.

Chiara Crialesi

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