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Expo 2015, per l’Italia e il made in Italy una sfida vinta?

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01/11/2015

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Expo 2015, per l’Italia e il made in Italy una sfida vinta?

 

L’Esposizione Universale del 2015 si è conclusa ieri con una grande festa con oltre 5000 invitati, fuochi d’artificio, discorsi entusiasti e un coro di voci bianche che sulle note di “Volare” ha suggellato la “sfida vinta dall’Italia”. Così, infatti, si è espresso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, insolitamente emozionato e sorridente nella cornice dell’ Open Air Theatre sotto quell’Albero della Vita che di Expo è stato il simbolo.

Lontane le polemiche sui ritardi e gli illeciti nella costruzione dei padiglioni, lontanissime le voci dei disfattisti che avevano previsto un fallimento (e una figuraccia) mondiale. Tutti sul palco a sorridere e a dichiarare quanto è stato bello, quanto siamo stati bravi e come cambieranno molte cose. E neanche erano stati chiusi i cancelli che già si parlava di “Modello Milano” da exportare nel resto d’Italia, a Roma soprattutto, come panacea per tutti i mali della Penisola. D’altronde le 21,5 milioni di presenze, di cui oltre 7 milioni di stranieri, sono un argomento troppo convincente per lasciare adito a polemiche di sorta. Così come i 2,3 miliardi spesi dagli italiani (dati Coldiretti) tra viaggio, alloggio, ingresso e consumazioni varie e i 140 Paesi che hanno partecipato in vetrina nei 54 padiglioni e nei 9 cluster. Senza contare gli oltre 20 mila lavoratori coinvolti dal 2008 nella realizzazione dell’evento e, dal primo maggio, nei 184 giorni di apertura al pubblico. Numeri da capogiro, come si suol dire. Anzi, da ebbrezza felice, come quella che è trapelata, appunto, dalle parole di Ministri, organizzatori, investitori e del Commissario Unico, Giuseppe Sala, oramai una superstar.

Eppure, proprio Sala era stato scelto dall’ex-Presidente del Consiglio, Enrico Letta, per tentare di sbloccare una situazione che sembrava arenata nel pantano del dibattito politico. In Italia, lo ricordiamo, tra marzo e maggio (gli ultimi due mesi di lavori prima dell’apertura), non è trascorso un giorno senza che qualcuno non parlasse male (o malissimo) di Expo: dal classico “non saremo mai pronti in tempo”, fino a critiche più serie sul tipo di contratti per i lavoratori assunti, sulla gestione delle risorse e sulla funzione stessa dell’Esposizione Universale. In particolare, e questa è forse l’unica polemica che sopravvive con forza, è stato sottolineato come troppo poco sia stato fatto in merito alla vera problematica cui Expo 2015 voleva rispondere: la fame del mondo. Il risultato dei 10 mila semi­nari e dibat­titi sui temi legati al cibo — scar­sità, trasformazione, spreco, dise­gua­glianze — e i modelli di sviluppo possibile è stata la cosiddetta “Carta di Milano” che però non sembra soddisfare chi di malnutrizione e denutrizione si occupa veramente. Come ha dichiarato Gaetano Pascale, presidente di Slow food Italia: «[la “Carta di Milano”] Contiene delle buone intenzioni, sulle quali è facile essere tutti d’accordo e anche se ha il merito di mettere in discussione il sistema alimentare attuale, non considera alcune tematiche essenziali come la proprietà dei semi, l’acqua come bene comune, i cambiamenti climatici. E poi non prevede impegni concreti per i governi e le multinazionali». Una sorta di memorandum insomma, che però sarebbe troppo debole rispetto alle esigenze attuali del pianeta. Altri analisti e addetti ai lavori hanno sottolineato come nel testo non si accenni al problema del land grabbing (l’appropriazione di vaste aree di terreni coltivabili nei paesi in via di sviluppo da parte di altri stati), all’obesità crescente, allo spreco dei beni alimentari. I più agguerriti sostengono che il documento sia in realtà una sintesi diplomatica, scritta per non dispiacere troppo alcuni grandi partner di Expo come la Cina (principale land grabber delle terre africane) o Mc Donald’s. Ma questo nei discorsi di chiusura non poteva di certo rientrare.

Inoltre, sono ancora da valutare i benefici reali dell’evento per le esportazioni e le aziende italiane. Di sicuro, e tutte le analisi in merito lo confermano, le società italiane si sono svecchiate grazie ad Expo: in molti hanno imparato l’importanza della comunicazione nel mercato globale e della pubblicità. I siti internet sono stati letteralmente inondati di campagne legate ad Expo e lo hanno reso un “topic” eccezionalmente affascinante. I siti internet più famosi e i principali social media hanno elaborato centinaia di migliaia di dati legati alla kermesse, come conferma l’analisi compiuta in questi mesi da Catchy, Alkemy Lab, ONB Analytics e DTOK Lab nell’ambito del progetto “Smart Culture”. Si consideri, ad esempio, che scrivendo “albero” su Google, il primo suggerimento è proprio “albero della vita”, più in alto della definizione botanica e dell’albero di Natale. Ciò conferma l’idea che quest’Esposizione Universale abbia interessato gli italiani oltremodo, fino a diventare un fenomeno di massa di cui si è parlato, si è scritto e si è discusso oltre ogni aspettativa. Ne sono prova la pazienza e lo spirito d’adattamento con i quali milioni di turisti hanno atteso a file interminabili per visitare i padiglioni più ambiti, come quello del Giappone giunto a sette ore di fila per un ingresso, o si sono aggirati nella calca dell’ultimo mese. Solo nella settimana dal 5 all’11 ottobre, infatti, si sono registrati 1.243.701 ingressi con il picco da record di 272.785 presenze il 10.

Il successo è stato tale che persino il quotidiano francese “Le Monde”  se n’è accorto, pubblicando un articolo a due giorni dalla chiusura dal titolo “Milan à l’heure du bilan” nel quale, sostanzialmente, l’unico dato reale che emerge è l’invidia. Fa sorridere, certo, ma tant’è: leggere per credere. Nella visione un po’ sciovinista che dipinge qualsiasi cosa fatta fuori dalla Francia poco attraente risulta davvero goffo il tentativo di svilire un evento che, di là dai giudizi che ognuno può averne, è stato di indubbio successo.

Tanto che da giorni al di qua delle Alpi è iniziato un nuovo dibattito sulla possibile destinazione dei padiglioni e dell’Albero della Vita, tra chi vorrebbe utilizzare gli spazi per Università e come incubatore di aziende a chi invece vede la possibilità di riconvertirlo in spazio fieristico a quanti (e sono sempre meno) vorrebbero smontare tutto. E pure di questo si sta parlando senza tregua: in rete impazzano i sondaggi, le proposte, i progetti; come a dire che in Italia di Expo non ci si stanca più.

Quasi dispiace che sia finito ma, in fondo, meglio così: per una volta è andato tutto bene. Sembra che sia questa la cosa che sbalordisce maggiormente, il fatto cioè che anche in Italia qualcosa così grande sia potuta andare bene. Nonostante i veleni, le critiche, le tangenti, le indagini, i licenziamenti e i ripensamenti, ieri sul palco della cerimonia di chiusura tutti erano uniti come una comitiva di amici che abbia superato un momento difficile e voglia solo godere i frutti del proprio lavoro. Proprio come succede quando qualcosa si fa – nonostante tutto – invece di parlarne e basta per lunghi, interminabili, mesi e poi, magari, essere accantonata. E alla fine sul palco c’erano tutti e sorridevano visibilmente soddisfatti.

Sabato Angieri

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